Ulrike Sauer, giornalista del Süddeutsche Zeitung, uno dei maggiori quotidiani tedeschi, ha trascorso una giornata alla NeroGiardini e ha raccontato la sua esperienza in un ampio reportage.

Il produttore di calzature Enrico Bracalente, cresciuto in grande povertà, va controcorrente ai trend del momento. Produce solo in Italia e non gli importa delle vendite online.

Nel servizio, la Sauer racconta gli inizi della nostra azienda:

Il Signore si riposò il settimo giorno e quando i fedeli si riunivano in chiesa a Messa la domenica mattina nel paesino di Monte San Pietrangeli, Enrico Bracalente batteva sotto i loro piedi, sulle sue forme. Il diciottenne lavorava tutti e sette i giorni della settimana nel seminterrato della Chiesa dei Santi Lorenzo e Biagio. Era il 1975. Nel suo paese di nascita, non lontano dal mare Adriatico, il figlio di un agricoltore iniziò a lavorare in una piccola fabbrica di scarpe a soli 14 anni. All’età di 18 anni acquistò degli strumenti da lavoro con i suoi risparmi e poté così anche pagare l’affitto. Questo fu l’inizio…

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Il Fondatore nel seminterrato della Chiesa

di Ulrike Sauer

Il Signore si riposò il settimo giorno e quando i credenti si riunivano in chiesa a Messa la domenica mattina nel paesino di Monte San Pietrangeli, Enrico Bracalente batteva sotto i loro piedi, sulle sue forme. Il diciottenne lavorava tutti e sette i giorni della settimana nel seminterrato della Chiesa dei Santi Lorenzo e Biagio. Così iniziò tutto, era il 1975. Nel suo paese di nascita, non lontano dal mare Adriatico, il figlio di un agricoltore iniziò a lavorare in una piccola fabbrica di scarpe a soli 14 anni. All’età di 18 anni acquistò degli strumenti da lavoro con i suoi risparmi e poté così anche pagare l’affitto a don Peppe, che da parte sua era attaccato al denaro. Questo fu l’inizio per il ragazzo di campagna, che non vedeva il suo futuro nei sette ettari di terreno che i suoi genitori coltivavano.

Il destino di questo ragazzo della regione Marche nel centro Italia, cresciuto in campagna in condizioni di ristrettezze economiche, l’ha spinto molto giovane a prendere l’iniziativa. “Il giogo e la fame hanno incitato il nostro individualismo”, dice Bracalente. Altri iniziarono nei garage, lui iniziò nella chiesa del paese costruita da Giuseppe Valadier in stile Neoclassico. Dallo scantinato il ragazzo ha avviato la sua scalata. Oggi con il suo marchio NeroGiardini è il numero uno sul mercato italiano. Lo si potrebbe considerare come il classico uomo che è arrivato in alto in un paese che brulica di self made imprenditori.

Ma le apparenze ingannano. La storia del fondatore ha preso inaspettatamente un’altra direzione. Si tratta di una persona che sin da subito non ha seguito le strategie aziendali convenzionali. Un imprenditore che va contro corrente. E che oggi impiega circa 2.600 collaboratori. Quasi tutti vivono nel giro di 30 km dalla sede dell’azienda. E poi la curiosità si sposta sul suo prodotto di moda e a prezzi accessibili che viene prodotto in Italia. Anche la pelle e i materiali vengono trattati nelle concerie della Toscana e del Veneto.

NeroGiardini domina sul mercato di casa con calzature ad un prezzo accessibile a tutti. Lo fa in una Italia dove da circa otto anni domina la crisi. Ora Bracalente punta all’estero. La quota di esportazione di NeroGiardini al momento è del 20% che si vuole portare al 50%. In Germania l’azienda è attiva da circa un anno.

Enrico Bracalente, 58 anni, ci riceve in un nuovo stabile nella zona industriale di Monte San Pietrangeli. Il paese sorge sopra una collina al sole. Tre torri luminose in mattoni delineano il profilo del paesino medievale di 2.500 abitanti. Davanti alla grande vetrata della sede si innalzano verso il cielo tre grandi palme. Il capo lavora in un ufficio senza finestre. In un angolo della stanza ci sono un computer e una scrivania. Cinque passi a destra lungo il corridoio e Bracalente è subito al tavolo dei campioni, dove i prototipi delle sue scarpe vengono realizzati. Ancora 5 passi avanti ed è proprio nel mezzo della produzione. L’imprenditore ha grandi progetti. Con le strategie dell’export, il fondatore di NeroGiardini vuole arrivare ad essere uno dei produttori di scarpe più importanti e raddoppiare il fatturato. Bracalente ama vestire casual. Indossa una polo bianca con il piccolo marchio NG sul petto. Le forti mani battono sopra al tavolo. Con poco tempo si abbandona e si apre totalmente. Gli ridono tanto gli occhi dietro gli occhiali dalla montatura in metallo. Quando suona il telefono, risponde lui stesso. Fa della vicinanza una filosofia di business. Non si è mai allontanato dal suo luogo di nascita. 19 aziende nei dintorni lavorano per lui: tre di queste appartengono al gruppo BAG, di cui lui è amministratore unico. Sono come dei satelliti sulle colline che portano verso il mare e formano il Distretto calzaturiero Fermano nella regione Marche, che ancora oggi rappresenta il centro calzaturiero più importante d’Italia.

Qualcosa testimonia che la testardaggine aiuta. Così quando tutti negli anni Novanta delocalizzavano, il nostro figlio di contadini decise di rimanere a produrre sulle coste adriatiche. Questo può essere preso come segno di stabilità e spirito conservativo. Ma non è così. Il Signor NeroGiardini ha creduto alla superiorità dei suoi concetti di business. Alla necessità di delocalizzare verso i paesi a basso costo di manodopera, dove emigrarono la maggior parte di imprenditori italiani a causa dell’alto costo del personale, lui non ha creduto. E’ andato semplicemente contro la convinzione di lasciare la sua patria. “Caro Adriano, se ce ne andiamo tutti, chi si può permettere ancora di comprare le nostre scarpe qui?”, rispose a un suo collega del Veneto che apparteneva alla sfera di industriali in fase di delocalizzazione. Chi pagherebbe gli stipendi agli italiani, se noi ce ne andiamo? Questo è sicuramente un grande gesto di umanità che colpisce. La globalizzazione ha portato in Italia la delocalizzazione delle industrie e questo ha portato alla crisi e alla depressione, che ancora oggi c’è nel nostro paese. Bracalente ha pensato anche a sé stesso. “Dovevamo rimanere, per far capire il valore del nostro marchio”, dice. Lui non voleva assolutamente perdere il diritto di poter mettere sui suoi prodotti la bandiera tricolore. E voleva anche mantenere la qualità dei suoi prodotti. “Bisogna solo organizzarsi bene”, questa è la sua soluzione.

La scommessa sul “Made in Italy” chiedeva coraggio. Ogni marchio di lusso si deve permettere di avere ancora l’artigianalità della mano italiana. Dopo la caduta del muro di Berlino, molte ditte sono andate a produrre prima nell’Est Europa poi in Cina. Il concorrente quotato in borsa, Geox del Veneto, non produce per niente in Italia. Per Bracalente non fu per niente facile andare controcorrente. Aveva dei dubbi. Ma aveva già in progetto di costruire la nuova sede dopo aver comprato un pezzo di terreno e un progetto da 10 milioni di Euro era già sopra la sua scrivania.

Il successo gli ha dato ragione. Dal 1998 il fatturato è cresciuto da 6,2 milioni di euro a 209 milioni. NeroGiardini produce 18.000 paia di scarpe al giorno. “Sono stato il pioniere dell’industrializzazione di un prodotto che fino a quel momento era solo del settore artigianale” dice orgoglioso. Nella produzione le persone hanno per Bracalente ancora un ruolo fondamentale.

Completamente automatizzata è la logistica. Nelle due moderne torri magazzino, a 15 km di distanza da Monte San Pietrangeli, c’è spazio per un milione di cartoni con 4 paia in ognuno di esso, tutti movimentati dai robot. Le vendite in circa 150 negozi, tra monomarca e i più grandi del retail, vengono monitorate in tempo reale. Così a Monte San Pietrangeli si sa già in tempo reale quello che acquistano i consumatori finali, e può essere rimesso in produzione già prima che il cliente riassortisca. Ecco perché si riesce a garantire i riassortimenti per i 2.500 negozi plurimarca di scarpe entro le 48 ore.

I brevi tempi di consegna tagliano fuori il tema dell’online. “Il mercato online non offre nulla ai nostri clienti e distrugge il mercato” dice Bracalente. Inoltre con gli sconti online si destabilizzano anche i clienti storici. Molto presto Bracalente ha trovato la sua strada. Nel 1988 decise di non produrre più per conto terzi, ma di sviluppare un proprio progetto e un proprio marchio e scelse NeroGiardini, nome di fantasia. Dieci anni dopo liquidò suo fratello e un terzo socio. I due si rifiutarono di investire sul marchio e di fare pubblicità, cosa che Bracalente ritiene essenziale per poter sopravvivere in un mercato competitivo e globale. Loro invece lo vedevano come uno spreco di soldi. E così andò avanti da solo.

“Ho semplicemente imparato dagli errori degli altri”

E’ diventato anche un salvatore. Nel tempio delle calzature, nella zona Adriatica, molte aziende stavano scomparendo. “La situazione è oggi così drammatica, perché è mancato lo spirito imprenditoriale, oltre a un marchio”, dice in modo deciso Bracalente. Oggi serve flessibilità, know-how e sinergia dei processi, un’alta rete di aziende altamente specializzate per raggiungere una forza economica. Poi ci sono i colossi come Clarks, Mephisto, Ecco e i due pionieri tedeschi Deichmann e Wortmann che schiacciano i piccoli artigiani italiani che non hanno possibilità di investire in comunicazione. Di 4.000 aziende calzaturiere ne rimangono 1.800. Chi produce per NeroGiardini oggi è in crescita. “Ho convinto i miei partner a credere nel futuro”, dice l’imprenditore, che fa eccezione.

Alla finitura del prodotto, a Monte San Pietrangeli, troviamo Mohammed Nuru, 21 anni, dal Ghana. Nel 2011 aveva 16 anni ed è sbarcato a Lampedusa. Anche un afgano, che mezzo morto sbarcò al porto di Ancona con un carico di cocomeri, ha trovato lavoro da NeroGiardini. I due immigrati appartengono al gruppo dei 22 diplomati che finora sono stati formati dalla scuola Artigianelli di Fermo, che offre corsi di operatore della calzatura. Questa scuola di formazione privata è stata un’idea di Bracalente che ancora una volta non ha pensato affatto a delocalizzare e di abbandonare il proprio territorio. E’ stata una necessità fondare questa scuola, visto che c’è sempre più difficoltà nel trovare persone giovani che sostituiscano la forza lavoro che va in pensione. Ma l’ha fatto anche per i suoi figli, di 28 e 25 anni: “Vorrei lasciargli un’azienda giovane”, dice il papà. Il cambio generazionale è sempre molto difficile. Mantenere un’azienda con collaboratori non in età pensionistica è molto difficile, è quasi impossibile. Così è importante fare formazione in un settore quasi dimenticato. Il suo caso è studiato dalle università: “Ho semplicemente imparato dagli errori degli altri” dice maliziosamente Bracalente.